115 shaares
"I propose a working typology of sensor journalism projects in order to examine the work that has been done; tease out emergent patterns; and gain perspective on the field to anticipate its future trajectory." Un tentativo ambizioso da parte di Lily Bui, studentessa presso il MIT, che da un po' di tempo si sta occupando seriamente di sensor journalism.
A parte forse il cappello filosofico, la categorizzazione che fa la Bui è molto interessante, perché costituisce uno schema pratico con cui sistematizzare i lavori di sensor journalism, passati e futuri: giornalisti che usano sensori, cittadini che usano sensori (e a cui le redazione possono rivolgersi), uso di reti di sensori già esistenti e funzionanti, sfruttamento dei dati provenienti da smartphone e tablet, o anche da sensoristica remota o ancora dall'imminente elettronica indossabile. Il tutto infarcito di link a progetti, riflessioni, risorse esterne.
A parte forse il cappello filosofico, la categorizzazione che fa la Bui è molto interessante, perché costituisce uno schema pratico con cui sistematizzare i lavori di sensor journalism, passati e futuri: giornalisti che usano sensori, cittadini che usano sensori (e a cui le redazione possono rivolgersi), uso di reti di sensori già esistenti e funzionanti, sfruttamento dei dati provenienti da smartphone e tablet, o anche da sensoristica remota o ancora dall'imminente elettronica indossabile. Il tutto infarcito di link a progetti, riflessioni, risorse esterne.
Una lunga e articolata intervista video (ottima idea quella di separare le risposte in video indipendenti, peccato che sono stati impostati come privati!) a Fergus Pitt, ricercatore presso il Tow Center for Digital Journalism (Columbia University). I video non si vedono, ma le risposte sono riassunte in brevi paragrafi, da cui emerge una certa cautela: i sensori non sconvolgeranno il giornalismo investigativo, ma semmai possono essere utili (e necessari) in ambiti particolari, come quando i dati proprio non ci sono. Qualche preoccupazione sulla curva di apprendimento e le barriere tecnologiche che un giornalista nativo si trova davanti quando ha a che fare con elettronica e metrologia, ma in fondo non è vero anche per la statistica e il trattamento dei numeri?
La Lily Buy, ex-studentessa e collaboratrice del corso "Comparative Media Studies/Writing" del MIT, ha iniziato a occuparsi di sensori e giornalismo all'inizio del 2014 e in questi mesi ha raccolto i suoi articoli sul tema sulla piattaforma Medium, in un canale dal nome auto esplicativo: Sensor Journalism Lab. Interessanti riflessioni da chi sta sperimentando nuove modalità di story-telling.
Le riflessioni di una blogger sulle potenzialità dell'uso di sensori elettronici anche in ambito giornalistico. Diversi esempi, ma la frase con cui chiude il post è emblematica del campo: "I am enthralled by how many people are trying new things with sensor data. I love this spirit of experimentation that is circulating, and I hope that it’s contagious." Staremo a vedere...
Questa applicazione web del Los Angeles Times non produce autonomamente articoli per il pubblico finale, ma offre un processo di produzione di contenuti giornalistici (in questo caso relativi alla cronaca nera di Los Angeles) altamente automatizzato: dai due report a settimana che la redazione riceve dall'ufficio del coroner viene popolato un database da cui deriva una mappa, un dataset pubblico ricercabile, delle semplici analisi di correlazione tra i luoghi degli omicidi, le caratteristiche delle vittime e quelle della popolazione limitrofa. La narrazione è affidata a giornalisti umani, ma dove indagare per ricavare una storie è chiaramente suggerito dagli algoritmi che agiscono sul database primario. Quando i robot non producono, ma assistono la produzione.
A oggi, l'obiettivo degli algoritmi di produzione automatica di contenuti, anche detti robot journalists, è "fornire rapidamente le informazioni di base" su un evento. Lo dice Ken Schwencke, editorialista del Los Angeles Times, che nel marzo scorso ha pubblicato forse il primo articolo scritto interamente da un algoritmo pochissimi minuti dopo la scossa di terremoto oggetto della notizia. A parte il fatto in sé o le caratteristiche proprie di Quakebot, è interessante notare che chi è coinvolto attivamente in questi esperimenti non sia affatto preoccupato che i robot possano un giorno insidiare la professionalità giornalistica umana: "it's true that a lot of newspaper jobs are in danger, but that has nothing to do with news-writing robots".